Il rituale medico ed il ruolo della mediazione

Il rituale medico ed il ruolo della mediazione

Pubblicazione redatta dall’avvocato Carlo Carrese per Altalex Editrice
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I momenti più critici della esistenza dell’uomo moderno, come ad esempio la nascita, il matrimonio, la morte, ecc., sono ancora oggi scanditi da precisi rituali, in cui l’individuo cerca la garanzia del mantenimento della propria identità e della comunità di appartenenza.

Anche la vita del paziente e, segnatamente, il momento della visita, è caratterizzata da importanti momenti rituali. Il paziente già avvicinandosi alla porta dell’ospedale, che richiama inconsciamente ciò che anticamente rappresentava l’ingresso nel tempio, entra in contatto con il rito simbolico.

Il paziente, una volta giunto all’entrata del nosocomio, si rimette, come rituale, al potere del soggetto che individua come suo guaritore, il quale lo potrà condurre da uno status ad un altro, ovvero da uno status di malattia ad uno di guarigione.

L’attraversamento di una soglia assume, invero, significati estremamente simbolici, ovvero il significato del passaggio tra un prima e un dopo. I pazienti si sentono impauriti dal mondo che li aspetta dietro la porta, come sono terrorizzati dall’incertezza e dalla precarietà che caratterizza la condizione di malato. I pazienti spesso si sentono angosciati per tutto quello che potrebbe comportare la malattia.

L’entrata del paziente in ospedale è scandita da rigorosi rituali che vanno dalla registrazione, al prendere possesso del proprio letto, al vestirsi in un certo modo (alle volte i pazienti è prescritto che indossino una tunica bianca). Anche l’arredamento e financo il colore delle pareti fanno parte di questo rituale. La giornata del paziente è scandita da tutta una serie di appuntamenti sui quali, lo stesso ha poca, o per niente, voce in capitolo. I pazienti vengono messi a letto dall’infermiera che decide quando devono andare a letto e quando svegliarsi.

L’ambulatorio, dove avvengono le visite del paziente, rappresenta sempre un luogo misterioso, quasi sacro dove risalta il lettino delle visite, che richiama simbolicamente l’altare del tempio.

Durante la visita i pazienti devono rimanere a letto, in pigiama, ad aspettare che venga emesso il loro verdetto, il più delle volte in un linguaggio misterioso, poco comprensibile. La ritualità che caratterizza la vita del paziente è rappresentata anche dall’abbigliamento dei sanitari (il medico indossa il suo camice bianco che rappresenta una sorta di ornamento sacerdotale) dal colore delle lenzuola, dall’osservanza delle profilassi igieniche.

Chi entra in ospedale diventa, in breve tempo, in tutto e per tutto un paziente, nel significato di colui che sopporta, che tollera, che attende. Pian piano l’individuo subisce una sorta di regressione attraverso la quale acquista lo status di paziente. Contestualmente il paziente tende a trasferire il proprio potere a favore del sanitario, ossia di quel soggetto che decide sulla sua sorte.

La visita, quale momento di profondo scambio e di profonda intimità, segna un momento fondamentale del rapporto medico paziente, una sorta di punto di non ritorno. Attraverso la visita la sofferenza del paziente trova un sollievo, una condivisione da parte del medico. Dopo la visita, due individui, fino a quel momento, praticamente sconosciuti, divengono uniti dall’intento di produrre un cambiamento psicofisico nel senso della guarigione.

Durante la visita, inconsciamente, si mette, invero, in scena un importante rituale avente come obiettivo il passaggio da uno stato all’altro ed in cui si definiscono i rispettivi ruoli che caratterizzano la relazione medico paziente.

Nel momento in cui il paziente acconsente ad essere visitato vi è, invero, un implicito riconoscimento del ruolo del medico come colui che è autorizzato a visitare il suo corpo a porre domande, intime, a volte, invasive, poter dare consigli, poter prescrivere una terapia.

Questo rituale necessita di rinnovarsi continuamente al fine di confermare il patto tra medico e paziente che dovrebbe sempre di più, in base anche a quanto disposto dai recenti codici deontologici, avvicinarsi ad una alleanza terapeutica.

In questa importante fase di cambiamento il paziente necessita di appuntamenti e incontri connotati da una forte ritualità; ritualità che grazie alla ripetitività da cui è caratterizzata, riesce ad infondere sicurezza in questo momento estremamente delicato.

Purtroppo recentemente la medicina ha sostituito, quasi completamente, il contatto fisico con il corpo del paziente, con l’esame di referti, la lettura delle “immagini”, l’osservazione di dati su un monitor, ecc.

La prescrizione di numerosi esami diagnostici, anche in ottica di medicina difensiva, ha preso il posto dell’ascolto profondo del paziente e dei suo stati d’animo, quali la paura (che la sua vita non sarà più la stessa), l’angoscia, delle sue aspettative e speranze di guarigione.

A sua volta il paziente vede i progressi della scienza come un mito assoluto a cui fare completo riferimento, attribuendo alla tecnologia medica il potere di garantirgli la salute in eterno.

Queste trasformazioni sociali e tecnologiche hanno profondamente mutato il rapporto medico paziente facendogli perdere quanto di rituale e di magico vi era in precedenza.

Al paziente viene oggi riconosciuto un potere di autodeterminazione in relazione alla individuazione della scelta terapeutica da adottare. In tale modo lo stesso viene posto formalmente sullo stesso piano nella relazione con il medico. Tuttavia la condizione del paziente come soggetto bisognoso di cure non consente alla relazione di svilupparsi su un piano sostanzialmente paritario di talché il rapporto medico paziente, in continua evoluzione, si trova ancora alla ricerca di un equilibrio tra le aspettative ed esigenze degli attori di questa relazione.

In questa complessa dinamica relazionale, in cui sono messi in gioco il vissuto e la sofferenza del paziente, la professionalità e la credibilità del medico, l’ordine che caratterizza i rituali di cui sopra può venire meno.

La mediazione ha la caratteristica di accogliere il disordine, provocato dal conflitto. Nella mediazione la collera, la violenza, i desideri negati, le differenze non riconosciute o non accettate trovano la loro legittimazione. Nella mediazione la rappresentazione del conflitto permette di riprodurre il vissuto delle parti, lasciando ad esso lo spazio ed il tempo per essere compreso e riconosciuto. La mediazione rappresenta una nuova forma di rituale della società attuale, che permette alla sofferenza di esprimersi attraverso un rito inizatico, che contempla il passaggio dalla sofferenza al sollievo, dalla negazione al riconoscimento, dalla solitudine alla condivisione, da una situazione conflittuale ad una in cui regna l’armonia.

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